La finalità del presente elaborato è quella di fornire delle informazioni basilari per gli imprenditori italiani intenzionati a investire in Germania, paese che costituisce un partner commerciale di rilievo per l’Italia. Il volume d’affari tra le due nazioni, infatti, è cresciuto negli ultimi anni, sia in termini di esportazione che importazione: secondo i dati ISTAT il volume d’affari complessivo è passato da 100mrd di euro nel 2014 a 128 nel 2019.
Strutture societarie
Conoscere le principali forme societarie risulta essere prezioso quando si intende avviare un’attività in Germania. Si riportano i tratti peculiari delle società tedesche costituite con maggiore incidenza:
la GmbH, che corrisponde all’italiana S.r.l., ha un capitale sociale minimo richiesto di 25mila euro; è la forma più comune di registrazione in Germania; il numero minimo di soci è uno; ha una struttura semplice, molto flessibile in termini di governance che permetterebbe alla figura controllante italiana di gestire direttamente il management tedesco. La proprietà, solitamente costituita nell’assemblea dei soci, potrebbe così impartire direttamente ordini al management tedesco in quanto in Germania il C.d.A. non è presente per questa tipologia associativa, ma vi è esclusivamente l’attribuzione diretta dei poteri e delle deleghe ai singoli amministratori, che la rappresentano e la gestiscono. È soggetta all’imposta sul reddito delle società, all’imposta sul commercio e al supplemento di solidarietà;
la GmbH & Co.KH, equivalente alla s.a.s. italiana, è una forma sociale abbastanza ricorrente in Germania ed è ideale per conduzioni a stampo familiare. La legislazione tedesca non prevede un capitale minimo; le due categorie sociali di appartenenza delineano due profili di rischio differenti in quanto la responsabilità sociale illimitata risiede in capo esclusivamente al socio accomandatario, mentre quello accomandante risponde limitatamente al conferimento della propria quota;
l’AG tedesca, corrispondente alla S.p.A. italiana, risulta essere utilizzata meno in quanto non è flessibile in termini di governance, essendo soggetta ad una regolamentazione particolarmente stringente, equiparabile a quella di una società quotata in borsa. Il capitale sociale minimo richiesto è di 50mila euro; il minimo numero di soci è uno; ad eccezione di particolari casistiche è richiesta sempre la figura del notaio per l’assemblea dei soci; adotta un sistema dualistico avente come organi il consiglio di sorveglianza e il C.d.A., che rappresenta la società; è soggetta all’imposta sul reddito delle società, all’imposta sul commercio e alla sovrattassa di solidarietà.
Un’alternativa alla costituzione di una società potrebbe essere quella di aprire esclusivamente una filiale che, tuttavia, non avrebbe personalità giuridica e dovrebbe essere dotata di procura per avere una propria gestione operativa distinta. Alla costituzione non è richiesto un capitale minimo, mentre è richiesto almeno un rappresentante; deve essere aperto un apposito conto bancario della filiale, separato rispetto a quello della società o dell’imprenditore costituente. Per poter operare deve essere iscritta al relativo registro e deve essere redatto uno statuto, corrispondente a quello della società italiana, che dovrà quindi essere tradotto e aggiornato ogni qualvolta ci siano modifiche statutarie.
Quale scelta preferire?
Innanzitutto, è sconsigliabile aprire una filiale rispetto ad una società dato che se da un lato si riscontra una maggiore facilità di apertura e chiusura, dall’altro non si registra un’adeguata considerazione positiva da parte dalle controparti tedesche con cui si andrà ad operare, come ad esempio gli istituti bancari che potrebbero non concedere crediti alla filiale, data la maggior temporaneità del business; inoltre, non avendo personalità giuridica, il soggetto creante andrebbe così a rispondere direttamente dei debiti eventualmente generati in Germania. Per tali motivi è quindi preferibile aprire una società distinta, avente la propria personalità giuridica. Alla luce di quanto detto sopra, l’AG non è consigliata per gli investitori stranieri che hanno l’intento di realizzare un business sussidiario, risultando poco flessibile e maggiormente idonea per le quotazioni in borsa; neanche la GmbH & Co.KG risulta esserlo, essendo limitante per attività imprenditoriali più articolate; di conseguenza si consiglia la GmbH, in quanto offre il vantaggio di una governance molto flessibile e una modellabilità a seconda delle esigenze, oltre ad avere un’ottima reputazione locale.
Diritto del lavoro
Il mondo del lavoro tedesco appare differente rispetto a quello italiano: la differenza è dettata soprattutto da un diritto del lavoro italiano prettamente sbilanciato a favore del dipendente. La legislazione tedesca, invece, tende maggiormente a proteggere l’imprenditore piuttosto che il lavoratore: la logica è quella di poter licenziare quando l’economia versa in condizioni avverse per poi riassumere quando si avvertono miglioramenti, soprattutto con assunzioni a tempo indeterminato, cosa che in Italia avviene più difficilmente.
Un’esemplificazione significativa concreta può essere fornita dalla normativa del licenziamento che risulta essere una pratica più facilmente utilizzabile in Germania piuttosto che in Italia: in terra tedesca, infatti, è possibile licenziare se un dipendente risulti assente per malattia. Ciò avviene nonostante ci siano similitudini con la realtà italiana: il licenziamento ordinario tedesco è attuabile in presenza di comportamenti del dipendente e, in senso lato, della sua persona ritenuti non idonei ai fini legali o in presenza di comprovate esigenze aziendali; inoltre vi è l’obbligo di preavviso in assenza di giusta causa e sono previste tutele particolari come ad esempio per le gravidanze, maternità e disabilità gravi. La differenza nei sistemi risulta ancora più evidente per quanto riguarda l’elargizione della buonuscita: i giudici tedeschi, ai quali spetta il delicato compito di essere totalmente imparziali facendo gli interessi e cercando di proteggere sia l’azienda che il lavoratore, fanno corrispondere dal datore di lavoro una buonuscita su base annuale, calcolata come metà stipendio mensile per ogni anno prestato dal lavoratore. L’ammontare finale risulta quindi inferiore rispetto a quello italiano, aspetto che rende la pratica del licenziamento ancora più difficile da attuare in Italia, dove viene corrisposta una buonuscita su base mensile, calcolata moltiplicando un dodicesimo dell’80% della retribuzione annua lorda percepita alla cessazione dal servizio, comprensiva della tredicesima mensilità, per il numero degli anni utili di prestazione.